La banca non può rifiutarsi di chiudere un conto corrente in rosso

Rappresenta un diritto incondizionato del correntista, ma viene volutamente disatteso dagli Istituti di credito. Si tratta di una facoltà riconosciuta al titolare di un conto corrente di recedere dal contratto, senza che a ciò siano di ostacolo eventuali passività gravanti sul conto.
Nonostante tale diritto, rimesso all’unilaterale determinazione del cliente, sia espressamente riconosciuto e regolato dall’art. 1855 c.c. e dall’art. 120 bis del Testo Unico Bancario, la prassi è quella di opporre frequentemente un netto rifiuto o un ritardo ingiustificato di fronte alla richiesta del correntista di estinguere il rapporto di conto corrente.
E ciò accade puntualmente ogni qualvolta vi sia un saldo negativo, quindi un debito o presunto tale, a carico del correntista.
Tale condotta, dettata quindi dall’illegittimo tentativo di condizionare la chiusura del rapporto di conto corrente all’estinzione del debito, finisce tuttavia per incrementare il saldo debitore del cliente. E’ evidente infatti come al mantenimento in vita del conto corrispondano degli addebiti di spese e commissioni, ciò in palese violazione dei doveri di correttezza e diligenza professionale che dovrebbero regolare la condotta della Banca durante ogni fase del proprio rapporto col cliente.
Spesso le pronunce dei Collegi degli Arbitri Bancari Finanziari hanno richiamato l’attenzione su questa prassi bancaria illegittima, condannando la resistenza opposta dagli Istituti di credito, e specificamente ribadendo che “la cessazione del rapporto di conto corrente, che si produce per effetto della dichiarazione recettizia del correntista, è del tutto autonomo ed indipendente rispetto alla sussistenza, o meno, di una esposizione del correntista medesimo nei confronti della banca. In presenza di un’esposizione debitoria del correntista, l’estinzione del conto, infatti, determinerebbe il cristallizzarsi di un credito, liquido ed esigibile della banca nei confronti del ricorrente, pari all’esposizione debitoria medesima” (ABF Milano, 16 giugno 2011, n. 1267).
A riprova di ciò, sono state considerate non dovute tutte le spese addebitate dalla Banca sul conto corrente dalla data del recesso sino alla chiusura effettiva dello stesso.
E’ pertanto sufficiente rispettare il requisito della forma scritta (raccomandata a/r, posta elettronica certificata, fax) per poter legittimamente esercitare il diritto di recesso, a cui peraltro la Banca dovrà dar riscontro entro 15 giorni lavorativi.
Se la Banca non risponde, il correntista potrà, con l’assistenza di un legale, far valere le proprie ragioni nelle opportune sedi, ottenendo peraltro anche la restituzione delle somme eventualmente pagate a titolo di spese e commissioni addebitate dopo il recesso.

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