“INCONTRI” / Le Interviste di Salvino Cavallaro / Siamak Khamnei, medico dentista che esprime grandi valori umani

Ci sono storie di vita vissuta e poi narrata con dovizia di particolari, che assorbono tutta la tua attenzione e ti fanno partecipe di mondi e situazioni che talora sono anche molto lontani dalla tua realtà. E allora ascolti, scrivi e pensi come fare informazione corretta, riportando fedelmente cosa ti è stato raccontato della vita personale del tuo interlocutore, il quale si pone davanti all’intervista con la fiducia di chi sa che quel suo intimo desiderio di aprirsi con te, non ha timore di essere frainteso. Oggi, per la rubrica “Incontri”, mi sono recato a Venaria Reale nello studio dentistico del Dott. Siamak Khamnei, un personaggio particolare la cui intensa vita vissuta fa di lui un professionista, ma soprattutto un uomo dalle mille esperienze formative. Il suo studio di Via Don Sapino 22 a Venaria (che condivide con l’altro di Corso Siracusa 68 a Torino), è dotato di moderne apparecchiature e si trova in un’incantevole posizione, per essere prospiciente a quella Reggia che resta una delle più belle opere architettoniche delle Residenze Sabaude, la quale dal 1997 fa parte della lista del Patrimonio dell’UNESCO. E’ cordiale il nostro incontro, così com’è nella natura di questo medico dentista che dà sempre priorità al proprio paziente con la delicatezza e l’attenzione che sa di umano, prima ancora che di affidabile senso professionale. Tono di voce basso, sguardo malinconico che non nasconde un passato irto di difficoltà, che ha tracciato solchi indelebili nella sua anima, questo medico dentista ti porta a pensare di avere qualcosa di particolare da raccontare. In lui ho colto il tratto di una persona riflessiva, attento ad analizzare con molta attenzione le cose che dice e che fa. Così mi sono accostato a lui con curiosità, chiedendomi più volte che radici avesse questo Siamak Khamnei, da dove venisse e perché fosse arrivato a esercitare la sua professione proprio tra Venaria e Torino. La risposta? Preparatevi ad ascoltarla anche voi gentili lettori.

Dottor Khamnei, dov’è nato?

“Sono nato il 30 agosto 1961 ad Ahar, una piccola cittadina iraniana che vive di agricoltura. Quando avevo circa tre anni, i miei genitori hanno deciso di trasferirsi a Tabriz che è la più grande città dell’Iran nord – occidentale ed è capoluogo dell’Azerbaigian. Poi ci siamo trasferiti in varie città dell’Iran a causa degli impegni di mio padre, che lavorando nella Banca Nazionale Iraniana era soggetto a continui spostamenti. Tuttavia, fin da quando frequentavo la prima media, sono rimasto per un po’ di anni nella Città di Tabriz.”

Che ricordi ha della sua terra natia?

“Ricordo con piacere i giochi che facevo da bambino assieme ai miei amici di quartiere. Momenti piacevoli che purtroppo si sono contrapposti a una vita famigliare per nulla facile, soprattutto per colpa di mio padre che non è stato all’altezza del suo ruolo. Ho ancora davanti agli occhi la sua violenza, la rabbia e la paura che incuteva a me e ai miei fratelli.”

Mi pare di capire che le sia mancato il ruolo di suo padre. O sbaglio?

“Non solo è mancato questo ruolo per me, ma anche per tutta la mia famiglia. Pensi che una certa serenità noi la vivevamo soltanto in sua assenza, tanto è vero che soprattutto mia madre ha dovuto sopportare questa terribile situazione finché io, mio fratello e mia sorella non siamo cresciuti. All’età di diciotto anni sono andato via dall’Iran per trasferirmi in Canada e nel giro di poco tempo i miei genitori si sono separati. Dopodiché ho perso traccia di mio padre, e soltanto dopo un po’ di anni ho saputo da altri che era mancato.”

La mamma, dunque, ha avuto un ruolo determinante per la crescita di voi figli.

“Sì, mia madre ha avuto un ruolo importantissimo nella nostra vita. Mancando la figura di padre, lei è stata il fulcro della nostra famiglia. Ricordo che ci ha sempre incoraggiato ad andare avanti negli studi per crearci non solo una vita migliore sotto l’aspetto sociale e professionale ma anche umano. Mamma è stata un esempio di forza insostituibile e una presenza continua nella nostra vita, mai imponendosi ma sempre consigliando.”

Mi tolga una curiosità, che origini ha il suo nome Siamak?

“Siamak è un vecchissimo nome che è presente nelle favole, ed ha origini persiane. Il suo vero significato è “Uomo dai capelli neri”.

Quando nasce un bimbo in Iran, si tende a dare il nome che possa continuare le origini della propria famiglia?

“No. Siamo molto diversi dal popolo arabo, in cui si tende rigorosamente a dare al figlio il nome del padre o del nonno. Noi persiani, invece, culturalmente tendiamo a scegliere il nome che ci piace di più, senza vincoli legati alla continuità della famiglia.”

Dottor Khamnei, quando ha capito la differenza tra il bene e il male?

“Con questa domanda, mi tocca sul vivo di quella brutta esperienza paterna di cui parlavo pocanzi. Da quando ho capito me stesso, mi sono reso conto che nel mondo esistono cattiverie tra gli esseri umani e che il bene, nonostante venga qualche volta oscurato dal male, alla fine risorge e vince sempre.”

Mi diceva degli anni vissuti in Canada. Ma in che anno è arrivato in Italia?

“Lasciai l’Iran il 14 marzo 1980, dopo avere partecipato alla famosa rivoluzione dell’ayatollah Khomeyni. Ricordo che sul nascere della Repubblica Islamica tutti si sono “svegliati” ed hanno capito che errore era stato fatto in precedenza. Così ho deciso di andare via dall’Iran con l’obiettivo primario di studiare medicina. In Canada ho fatto davvero di tutto, anche perché andavo benissimo con la lingua inglese. Lì, il quel Paese, c’è un sistema scolastico totalmente diverso dal nostro, infatti, se tu vuoi diventare un medico, devi portare cinque materie come chimica, biologia, fisica, matematica, letteratura inglese e francese. Io non avevo molta dimestichezza con il francese e le confesso che povero com’ero, non potevo affrontare le elevatissime tasse universitarie del Canada. Così ho fatto l’ultimo anno di liceo, mentre nel frattempo mi ha chiamato mia madre dicendo che anche mio fratello aveva lasciato l’Iran, anzi, per meglio dire, era addirittura scappato. Io, intanto, stavo lasciando il Canada per andare a Oklahoma negli Stati Uniti per un appuntamento all’ambasciata americana. Trascorso un certo periodo di tempo mio fratello mi ha telefonato dicendomi che dopo avere girato l’Europa si era trasferito a Perugia, dove si trovava meravigliosamente bene e così mi ha invitato a raggiungerlo. Era il 14 dicembre 1982, quando sono sbarcato all’aeroporto di Malpensa a Milano ed ho avuto il mio primo impatto con la nebbia, un qualcosa che non conoscevo, che non avevo mai visto. Ricordo che è stato un po’ traumatico, ma poi ho fatto l’abitudine.”

Poi com’è arrivato a Torino?

“Come le dicevo, sono stato prima a Perugia per frequentare l’Università degli stranieri. Le confesso che all’inizio mi sono trovato in difficoltà, anche perché ero abituato al sistema scolastico canadese che è totalmente diverso da quello italiano. Il contrasto di quello che vedevo è stato notevole, tanto è vero che mi trovavo in una situazione difficile da accettare. Se non fosse stata la mia professoressa d’italiano a inculcarmi la cultura e il modus vivendi italiano in cambio del mio impartirgli lezioni d’inglese, non so cosa ne sarebbe stato di me. Poi, conoscendoci meglio mi ha consigliato di venire al nord dell’Italia, anche perché sarei stato più vicino ai confini con la Francia, la Svizzera, l’Austria. In effetti, non aveva tutti i torti. Così pensai di trasferirmi a Torino assieme a mio fratello.

Com’è stato il suo inserimento all’Università di Torino?

“Per gli stranieri, all’inizio, non è stato facile iscriversi alla facoltà di medicina. Eravamo molto preoccupati, perché c’era un esame molto importante da superare. Tuttavia, dopo avere studiato tanto, io e mio fratello abbiamo superato quell’ostacolo. Restava il problema dell’inserimento nella vita sociale di Torino che dovevamo superare ad ogni costo. Ci dicevano che questa città era molto fredda e diffidente, ma il mio carattere mi ha portato a capire che ero io a dovermi adattare al luogo in cui avevo deciso di vivere, nonostante le mie radici persiane fossero totalmente diverse. E così, con il tempo e il desiderio di relazionarmi con gli altri, ho cominciato a sentirmi accettato dalla città di Torino e dai suoi abitanti.”

Perché ha scelto la facoltà di medicina e perché si è poi specializzato in odontoiatria?

“In quegli anni mi piaceva tanto la matematica, per questo volevo iscrivermi alla facoltà di Ingegneria. Mio zio, che era medico specializzato in chirurgia generale a Francoforte, un giorno mi disse che io non avrei potuto fare il medico. Queste parole mi sembrarono come una sfida, ed io gli dissi che mi sarei iscritto in medicina e che un giorno sarei diventato medico. Così è stato. Appena mi sono laureato, avrei voluto specializzarmi in cardiologia, ma dopo essere stato in Inghilterra e dopo essere ritornato a Torino, per puro caso ho incontrato il Prof. De Michelis, mio professore di Clinica Odontoiatrica, il quale mi ha consigliato di cambiare indirizzo e fare l’odontoiatra. Ricordo che lui stesso mi ha dato la manualità che probabilmente era innata in me, ma che io stesso non sapevo di avere. Per me è stata una vera scoperta.”

Dottor Khamnei, che idea si è fatta del problema concernente gli sbarchi degli immigrati in Italia?

“Gli sbarchi degli immigrati sono soltanto una parte del problema mondiale. Siamo coinvolti da troppi interessi economici a livello internazionale, per cui resta difficile l’inserimento sociale di tanti immigrati senza l’aiuto dell’Europa unita. “

E veniamo alla sua professione di medico chirurgo odontoiatra. E’ vero che dal punto di vista professionale e umano c’è bisogno di un supporto psicologico, soprattutto per coloro i quali sono terrorizzati di andare dal dentista?

“Penso che in tutti i mestieri ci sia bisogno di un po’ di comprensione nei confronti degli altri. E’ vero che l’80% dei pazienti ha paura di andare dal dentista e si sentono a disagio. Prima ancora di iniziare una cura, cerco di capire il mio paziente e curare me stesso. Sì, perché io devo essere a disposizione della persona che viene nel mio studio. Sono io che devo andare incontro al mio paziente e non viceversa. “

Le piacerebbe se suo figlio continuasse a fare ciò che lei ha realizzato professionalmente?

“Non impongo mai a mio figlio che ha soltanto 10 anni, cosa deve fare. L’unica cosa che gli raccomando è di fare ciò che gli piace, avendo rispetto per ciò che fa. Lui dice che vorrebbe seguire le orme del padre, ma io vedo in lui tutta un’altra cosa.”

In alcuni momenti di riflessione su ciò che è stata la sua vita, c’è qualcosa che non rifarebbe?

“E’ meglio dire ciò che avrei dovuto e voluto fare, e cioè di ribellarmi a mio padre assieme ai miei fratelli e mia madre, invece di essere succubi della sua violenza. Chissà, magari le cose sarebbero andate diversamente.”

I sogni che si era prefissato da giovane, si sono realizzati tutti?

“ Non credo che ci sia al mondo qualcuno che dica di avere realizzato tutti i sogni della propria vita. Penso di aver raggiunto tanti traguardi, tuttavia, credo che ce ne siano ancora tanti altri da raggiungere.”

Se dovesse chiedere ancora qualcosa alla sua vita personale, cosa chiederebbe?

“Spero in un mondo migliore, con giovani che siano meno superficiali di oggi.”

E’ vero che le relazioni sono alla base del buon vivere quotidiano?

“Nel grande scenario della vita, siamo tutti attori. Se non ci fosse la relazione e la condivisione tra le persone, penso che sarebbe davvero la fine del modo. Dico sempre che nella vita c’è sempre da chiedere e dare agli altri.”

Se potesse salvare qualcosa di questo mondo così irrequieto, instabile dal punto di vista sociale e pericolosamente proiettato verso i conflitti di tipo politico e razziale, cosa salverebbe?

“Il buon senso, un po’ di umanità e obiettività nelle cose. Tutto ciò che vedo attorno a noi non è questo, perché sia per i politici e la loro ideologia, sia per quella sete di Potere che si allarga a macchia d’olio, vedo del pericolo. Sa, Signor Cavallaro, devo dirle che io sono molto innamorato della Svizzera. Un giorno mi trovavo a Berna e stavo camminando proprio nella piazza in cui c’è il Parlamento. In quel momento ho visto un signore che è arrivato, ha aperto la sua bicicletta ha messo uno zainetto sulle spalle e poi se n’è andato. Ebbene, quello era il Ministro dell’Economia svizzera, un personaggio che per quell’atteggiamento mi ha fatto riflettere molto, perché ho pensato che quello fosse un gesto eloquente per avere rispetto delle persone oneste che possono apprezzare un esempio di semplicità e non di supponenza politica. Da noi, purtroppo, non è così. Qui manca il rispetto e il buon senso. “

Salvino Cavallaro

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