Cari amici lettori della rubrica “Incontri”. Rivolgo a voi la mia gratitudine per i numerosi messaggi di stima e affetto che ricevo tutti i giorni, per il mio lavoro giornalistico svolto tra articoli e interviste curate per entrare in sintonia con voi. Attraverso i risultati ottenuti con i vari like individuati dalla redazione, si evince un rapporto di consenso e di idem sentire sulle varie tematiche di vita quotidiana e personaggi che danno seguito alla mia ricerca dell’umano. Sono storie, sono fatti di cronaca, sono commenti ad un mondo non sempre facile da vivere con spensieratezza, ma soprattutto sono testimonianze di volti e di voci che hanno piacere di raccontarsi. Dal signor Rossi ai più popolari personaggi riflessi dall’abbagliante luce mediatica, tutti hanno in comune un vissuto sul quale rivedersi, confrontarsi e riflettere su come noi siamo, su ciò che abbiamo raggiunto nella vita e ciò che avremmo voluto fare e non abbiamo fatto per diversi motivi. C’è chi ha raggiunto il successo e c’è pure chi non l’ha ottenuto per chissà quale segno del destino. Ma ci sono anche tante persone che si accontentano e vivono la propria realtà con serenità, con la capacità di non cadere mai nei rimpianti di ciò che avrebbe potuto o dovuto essere e non è stato. Si chiama vita, si chiama quotidianità di storie personali che ci piace ascoltare, leggere e magari rileggere perché sanno di cose vissute tra gioie e momenti di difficoltà. Ecco, forse è proprio questo che piace, è quel sentire una comunicazione diretta con il mio interlocutore a cui rivolgo spesso domande che immagino vorreste fare voi al mio posto. E’ una forma interpretativa di pensiero che mi pongo a favore di voi lettori, quando mi trovo davanti al personaggio da intervistare. E allora parto dalle radici che si diramano attraverso un vissuto fatto di tante comuni cose che viviamo nella nostra vita. Certo non è facile, e soprattutto non sempre riesco a raggiungere l’obiettivo di quella confidenzialità necessaria per potere sviscerare certi sentimenti racchiusi ermeticamente nel proprio io personale. Sapete, quando si fanno delle interviste di un certo tipo, è come giocare a tennis; lanci la pallina e aspetti che l’altro la ritorni senza lasciarla cadere a terra. E’ una metafora per dire che il rapporto tra intervistatore e intervistato deve essere sempre corretto e vicendevole per potere raggiungere l’obiettivo di un raccontarsi senza timore e, soprattutto, senza dare il senso di una malsana curiosità che non interesserebbe nessuno, men che meno al sottoscritto. E allora cari amici, nell’augurare a voi e alle vostre famiglie momenti di infinità serenità per le imminenti feste natalizie, vi giunga ancora il mio grazie per l’empatia dimostrata che sa di emozione pura nel seguirmi sempre con affetto.
Salvino Cavallaro