L’ho conosciuto personalmente, l’ho intervistato più volte in video, in audio, per la carta stampata, e sempre ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a una persona interiormente fragile, al contrario di come si poneva agli altri. Aldo Agroppi è deceduto proprio all’inizio dell’anno 2025 per una polmonite bilaterale nella sua Piombino. Aveva 80 anni e da molto tempo soffriva di depressione, quel male oscuro di cui lui stesso ha detto apertamente di essere stato coinvolto in una oscurità che a un certo punto del suo percorso professionale e umano gli ha cambiato la vita. Qualche anno fa ha pure avuto un infarto dal quale si era ripreso, grazie alla tempestività e alle cure dei medici. Di lui e con lui ricordo molti momenti di vita narrati attraverso le interviste e i vari incontri avuti qualche volta a Torino e poi a Piombino, là dove si diramavano le sue radici profonde di vero toscano dalla lingua biforcuta, capace di esternare verità che altri, pubblicamente, nascondono con neanche tanta velata ipocrisia. E per questo ha pagato sulla sua pelle, fin da quando in RAI e poi in Mediaset, era stato chiamato a far da opinionista sportivo in tanti programmi televisivi. Fatti e personaggi dello sport raccontati attraverso le sue verità, senza peli sulla lingua e con il coraggio di fare un servizio mediatico lontano da veli ammantati di ipocrisia. Non conosceva la diplomazia, il buon Aldo Agroppi, e invitare lui equivaleva sempre il rischio di far “scoppiare una bomba” da un momento all’altro. Con la stessa integrità ha scritto due libri, dal titolo: “A gamba tesa” e “Non so parlare sottovoce”. Due testi in cui sono emersi preponderanti le sue caratteristiche di uomo che non si è mai assoggettato a vincoli dettati da un certo Potere. “Prima di partire da casa per andare negli studi di Roma e parlare di calcio in diretta” – mi diceva Nadia, l’adorata moglie di Aldo – ” gli dicevo di prendere delle gocce per stare tranquillo. Ma lui non ne voleva sapere e partiva sempre carico delle sue verità da dire. Era più forte di lui”. Tuttavia, come dicevo pocanzi, di lui ho scoperto grandi fragilità interiori che egli stesso affermava apertamente, come guardarsi allo specchio e mettersi a nudo di ogni cosa. Stesso era il modo di parlare degli altri e uguale era il sistema di parlare di sé, cosciente dei suoi limiti caratteriali che per lui erano un pregio. “Sono un legno storto, così come era il mi babbo” diceva Aldo Agroppi nelle sue interviste. Già, quel babbo “legno storto” e integro come lui, quel babbo testardo che non si piegò neanche davanti al matrimonio di Aldo con Nadia, perché riteneva che per un calciatore, il matrimonio in giovane età poteva essere deleterio per la sua carriera. Insomma, molti erano i tratti paterni che egli ha assorbito tra pregi e difetti, tra lealtà, rispetto dei valori umani e fermezza di essere sempre se stessi, anche quando c’era il rischio di dovere pagare di persona. Questo era Aldo Agroppi, questo è stato il campione di calcio che ha amato il Toro, l’allenatore, l’opinionista televisivo, l’uomo tanto amato e odiato da un certo Potere. Questo era l’amico che non rivedrò più.
Salvino Cavallaro