Torino – Juventus, un derby tra deluse.

Da una parte il Toro con le sue vicende societarie e le contestazioni dei tifosi granata, e dall’altra parte una Juventus che ha disputato un girone d’andata a dir poco deludente. Due facce di una realtà cittadina che è molto lontana dal quel fuoco calcistico che ardeva tra le due sponde del po. E non è da fare rifugio alla retorica del tempo che fugge via inesorabile e fa rimpiangere il passato come qualcosa che è stato meglio rispetto al presente. Tuttavia, nell’analisi concreta del presente calcistico della città Sabauda, si avvertono inquietudini che sono probabilmente dati da un calcio che è cambiato e ha stravolto anche certe passioni sanguigne di un fuoco che sembra essersi affievolito. Si parlava di cuore granata e di tremendismo Toro, inventando neologismi giornalistici da parte di grandi firme dello sport piemontese, le quali erano in grado di fermentare l’attesa del derby della Mole. E si scriveva anche di una Juve con il marchio della Fiat agnelliana, come segno di un Potere in cui vincere era l’unica cosa che contava. Fiumi di parole, titoli sulla carta stampata che preparavano un incontro che non è mai stato considerato come un incontro di calcio uguale ad un altro, ma che aveva il sapore di un qualcosa declinabile anche sul fatto sociale. Oggi assistiamo al cambiamento dei tempi e viviamo il derby della Mole sempre con lo spirito di chi non ci sta a perdere, ma con un occhio a quello che potrebbe significare la vittoria o la sconfitta per il prossimo futuro delle due società, degli allenatori, dei dirigenti, del mercato dei giocatori, di chi va e di chi resta. Veleni interni alle società, che vanno oltre lo spirito combattivo di un derby agguerrito sul campo. Ma tanto è. Godiamoci ugualmente questo incontro sotto la Mole, con lo spirito di chi continua a descriverne comunque la rimanenza dei sentimenti di un pallone che è stato sostituito dagli iperbolici interessi economici delle plusvalenze e nulla più. Salvino Cavallaro

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