Manager di indiscutibile valore editoriale, il presidente del Torino F.C. non ha mostrato dopo oltre un decennio di conduzione granata, un’altrettanta abilità nell’essere il condottiero vincente di una delle più storicamente blasonate società di calcio a livello nazionale e internazionale. Quel suo continuare a essere pervaso dalla persecuzione del mettere in ordine i conti in bilancio, ha praticamente fatto perdere di vista i basilari concetti di crescita e di obiettivi vincenti da raggiungere di una società di calcio vincente. Tuttavia, nonostante il malcontento generale dei tifosi granata, per questo suo mantenere la squadra in Serie A senza lode e inganno, egli non si decide a passare la mano ad altri. Sinceramente non sappiamo quanto ci sia di vero dietro tutto questo apparente tifo per il Torino, dato anche dalle sue radici alessandrine e famigliari di mamma e papà ultra tifosi del Toro, tuttavia, nell’emergere dell’interesse di immagine e nel tentativo di creare in seno alla società granata delle continue plusvalenze, da’ l’idea che per barcamenarsi in Serie A sia sufficiente sopravvivere. Ma questo non può essere un discorso accettabile per un presidente del Torino che ha una storia culturale incredibile da difendere. D’altra parte, ci rendiamo conto che la conduzione di calcio moderno richiede non solo, sempre più attitudini e preparazione nella gestione di una società che fa calcio e deve essere consapevole della propria forza economica. In buona sostanza, diciamo che è finito il calcio condotto dalle sole tasche di un presidente, oggi tutte le società vincenti o che ambiscono a tale traguardo, sono formate da fondi azionari e unioni di gruppi vari, tali da dare una maggiore forza finanziaria alla società. Tuttavia, il presidente Cairo riesce in qualche modo a continuare sulla sua strada, ringraziando la sua buona stella che gli permette di azzeccare fortunatamente quelle plusvalenze che sono la caratteristica della sua società. Con l’entrata in granata di Casadei e Elmas, acquistati in gennaio, ha dato alla squadra di Vanoli, ma soprattutto ai conti della società, quella fortuna di cui parlavamo pocanzi. Dunque, il Toro è questo. Tutto si può dire e fare, ma alla fine resta l’essenza della mediocrità.
Salvino Cavallaro