Ponte sullo Stretto tra possibili opere di difesa Ue

L’Unione europea inizia ad accelerare la pratica sulla mobilità militare, ovvero il piano per ammodernare le infrastrutture degli Stati membri in modo da poter trasportare truppe e mezzi dove e quando ce ne fosse bisogno (si spera mai, ovviamente).

Alla riunione straordinaria della commissione Ten-T – a cui partecipano gli Stati membri e i commissari Apostolos Tzitzikostas (Trasporti) e Andrius Kubilius (Difesa) – è approdata sul tavolo l’analisi di “500 opere prioritarie da affrontare con urgenza”, oltre che la questione dei finanziamenti. E per l’Italia si accendono i riflettori sul Ponte di Messina, che potrebbe rientrare nella lista di progetti dual-use.

“Spetta alle autorità italiane valutare se lo scopo principale del ponte sia militare o civile”, afferma un portavoce della Commissione Europea precisando che, per classificare la spesa pubblica, l’esecutivo Ue utilizza la cosiddetta Cofog (Classificazione delle funzioni delle amministrazioni pubbliche) adottata in ambito Ocse e Onu. “Questo è particolarmente rilevante per l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale, che consente un aumento della spesa per la difesa senza il rischio che la Commissione avvii una procedura per i disavanzi eccessivi”, puntualizza il portavoce.

Insomma, Bruxelles non ha chiusure pregiudiziali purché siano rispettate le formalità procedurali — nella lista Cofog tra le sottocategorie ammesse per la difesa figurano ad esempio “la difesa militare, la protezione civile, l’assistenza militare estera, la ricerca e lo sviluppo nel settore della difesa”. Gli investimenti per il piano di mobilità militare, fa sapere la Commissione in una nota, “saranno concentrati sui progetti con il maggiore impatto tangibile in termini di duplice uso, garantendo che i miglioramenti infrastrutturali soddisfino sia le esigenze civili che quelle militari”. I risultati di questo lavoro confluiranno direttamente nel prossimo pacchetto sulla mobilità militare, che sarà adottato nel corso dell’anno.

In tutto, confida all’ANSA una fonte europea, serviranno “circa 100 miliardi”. Da dove verranno – bilanci degli Stati membri, fondi europei, quali e in quale quota – è tutt’ora da capire. L’incontro, non a caso, ha riunito i rappresentanti dei ministeri dei trasporti e della difesa nonché della Nato e dello Stato maggiore militare dell’Ue, così da segnare “un passo importante negli sforzi congiunti volti a rafforzare le reti logistiche europee e ad affrontare le esigenze d’investimento in infrastrutture critiche lungo quattro corridoi di mobilità militare prioritari dell’Ue”.

Per l’Italia a questo punto si aprono essenzialmente tre strade. Pagare il Ponte di Messina con risorse esclusivamente nazionali (alla Commissione indubbiamente tifano per questa opzione), aggiungerlo alla lista delle opere per cui si attiva la clausola di salvaguardia con le dovute spiegazioni (che Roma per ora non ha però intenzione di utilizzare) oppure chiedere il cofinanziamento europeo (ci sono varie opzioni al riguardo). In ogni caso rientrerà nelle spese Nato per la parte dedicata alla sicurezza (l’1,5%) e contribuirà a raggiungere il target del 5%.

Il tema è politicamente sensibile e infatti si registrano i primi distinguo. “La classificazione del Ponte sullo stretto come spesa militare è una presa in giro dei cittadini e degli impegni assunti in sede Nato”, afferma Giuseppe Antoci, europarlamentare del Movimento 5 Stelle. “In Sicilia e Calabria la popolazione soffre d’infrastrutture idriche insufficienti, trasporti lumaca, strade colabrodo, ospedali da terzo mondo: il ponte sullo stretto non può essere una priorità”.

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