Via Bava, Benedetti e Asta, il Toro perde una parte di storia incisa sulla pietra.

Chi leggerà questo articolo non confonda il sentimento e neanche la retorica di un glorioso passato che nel calcio, oggi più che mai, non conosce gratitudine. No, sarebbe troppo banale e anacronistico parlare del romantico senso di figure, bandiere e maglie appiccicate alla pelle che sono state travolte da milioni di euro che si moltiplicano in un mercato pallonaro eticamente disgustoso. Ma tanto questo è, prendere o lasciare, nonostante già una trentina d’anni e oltre si fosse messa in rilievo la pericolosità di un football che non ha più nessun impedimento alla decenza. Ma a parte queste considerazioni diventate anch’esse stucchevoli come il pallone che appare a forma di un rotondo contenitore di denaro e basta, resta pur sempre la considerazione della repentina perdita di atleti, direttori sportivi, responsabili di settore, allenatori, che hanno creato radici profonde nella vita di una società, dove per anni ne hanno rappresentato l’emblema di appartenenza, anche e soprattutto attraverso conquiste racchiuse tra le pagine importanti del libro del club. Parli di Massimo Bava, di Silvano Benedetti, di Tonino Asta e pensi subito al Toro, ai loro incredibili trascorsi che da soli meriterebbero grande attenzione nel tenerseli stretti. E invece in tutto questo percorso di glorioso passato ci sono tanti fattori di carattere tecnico e umano che non sempre coincidono con la razionalità di pensiero. Sono i difficili rapporti interpersonali che spesso mandano a quel paese ogni logica. E’ quel degradare che si identifica nella divergenza di pensiero e dove conta sempre la legge del più forte, di chi ha più voce in capitolo, di chi detiene il potere, sperando che certe decisioni dettate da un certo potere corrispondano all’aver visto giusto, oppure, chissà, è meglio comunque togliersi davanti chi fa troppa ombra. Non sappiamo quali meccanismi entrino a far parte dell’azienda calcio, dove in genere c’è un capo supremo e dei collaboratori che oggi ci sono e domani chissà. E in tutto questo risvolto di percorsi professionali che talora nascondono apparenze ipocrite per il lieto vivere, c’è sempre un momento in cui le parti dicono “basta”, dando un calcio a una leadership che può avere dato fastidio. E’ il calcio di oggi che prevediamo peggiorare anche per il domani, tale è la deriva discendente che si presenta senza freni inibitori. Tutto passa e nulla è per sempre, questo lo sappiamo, tuttavia, resta il fatto inconfutabile che il mondo del pallone è fatto di uomini e non di macchine soltanto capaci di badare ai bilanci, alle plusvalenze, agli introiti derivanti dalle televisioni, dal merchandising e quant’altro. Ci sono uomini e meccanismi che devono in qualche modo essere rispettati. E non si può dire, o soltanto pensare, che l’appartenenza a un club sia il frutto di un contratto controfirmato. Dentro quel contratto ci sono tante cose oltre gli obiettivi da raggiungere, e cioè la correttezza di premiare chi quei risultati li ha raggiunti nel tempo e che adesso viene mandato a casa perché non serve più. Meditino bene gli aziendalisti di oggi che credono di essere eterni e in una botte di ferro. Questo calcio non guarda più in faccia nessuno.      

Salvino Cavallaro

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