Giovanni Allevi e quel momento da brividi sul palco dell’Ariston di Sanremo

Tra canzoni, varietà, ansia, emozioni, applausi e tante riflessioni, si alterna il palcoscenico della vita su quel palco dell’Ariston di Sanremo che è qualcosa di più del banale avvicendarsi di cantanti e canzoni. Nella direzione tecnica di pluriennale esperienza non solo di individuazione canora e musicale di Amadeus, si evince sempre l’attenzione verso l’angolo dedicato alla vita con le sue varie sfaccettature e riflessi rivolti a un quotidiano sociale che spesso ripropone il lato più difficile da vivere dal punto di vista umano. Storie, incontri e narrazioni che tra una nota musicale e tante voci canore che ripropongono generi e stili diversi, sanno ricondurci a momenti di profonda emozione legati al percorso della vita stessa. E li, in quello sfarzo di luci e colori proposto dalla bellissima sceneggiatura sul palco dell’Ariston, c’è la metafora di un sipario che si apre e poi si chiude, proprio come avviene nella vita. Tutti questi forti sentimenti sono stati racchiusi ieri sera nel momento dedicato al maestro Giovanni Allevi. La vita che scorre e poi, improvvisamente, sembra chiederti il conto per quanto ti ha dato. “All’improvviso mi è crollato tutto” dice emozionato il maestro Allevi, dopo avere ricevuto il lungo applauso del pubblico che tutto in piedi magnificava la sua presenza al Teatro Ariston prima del lungo monologo. “Nel lungo concerto a Vienna il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello e non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto, il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze. Ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio. Non molto tempo fa durante un concerto in un teatro pieno ho notato una poltrona vuota. Mi sono sentito mancare. Eppure quando ero agli inizi ho fatto concerti davanti a 20 o 30 persone ed ero felicissimo. Oggi dopo la malattia non so cosa farei per suonare davanti a 15 persone. Un altro dono è la gratitudine di fronte la bellezza del creato. Non si contano le albe e i tramonti visti da quelle stanze d’ospedale. Il rosso dell’alba è diverso dal rosso del tramonto e se ci sono le nuvolette intorno è ancora più bello. E poi un altro dono è la gratitudine e la riconoscenza per il lavoro dei medici, degli infermieri e di tutto il personale ospedaliero. La riconoscenza per la Ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarne. Per il sostegno che ricevo dalla mia famiglia. L’affetto, la forza e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti. Un altro dono – conclude – quando tutto crolla il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più: io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo”. E poi la magia del suo pianoforte, la melodia, il tesoro di un’atmosfera quasi surreale accompagnano i pensieri, le riflessioni e la profondità del nostro percorso di vita, in una kermesse musicale mai banale. Tra allegria, voglia di leggerezza e fatti che si riflettono nella straordinaria storia della vita. Questo è Sanremo, questo è il sipario di alba e tramonto: perfetto significato del giorno che nasce che muore e poi, grazie a Dio, rinasce e muore ancora. Ma non è la vita?
Salvino Cavallaro

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