La Russia di Putin è il convitato di pietra al 43esimo vertice del G7 di Taormina. Non c’è – espulsa nel 2014 dal club dei paesi più industrializzati a seguito dell’annessione della Crimea – eppure è come se ci fosse, visto che i dossier più spinosi, dalla Siria all’Ucraina alla Libia fino ad arrivare al nuovo posizionamento dell’amministrazione Trump negli affari mondiali, prevedono una riflessione sul ruolo di Mosca. Non passa giorno, d’altra parte, tra hacker ineffabili e superattivismo geopolitico, con ingerenze vere o presunte nelle scadenze elettorali europee, che il Cremlino non venga tirato in ballo. E infatti lo ‘zar’ a Taormina non è stato invitato per un soffio.
L’Italia, non è un segreto, in quanto presidente di turno ha pensato di riportare la Russia nel consesso dei grandi e tornare al format al G8 – “quello è l’obiettivo a cui si lavora”, ha detto chiaramente il ministro degli Esteri Angelino Alfano a Bonn. Gli Usa, assicura una fonte diplomatica, “non si sono opposti” (si era peraltro nell’interregno fra Obama e Trump) ma hanno pilatescamente “lasciato la scelta” a Roma. Le decisioni, nel circolo nato nel pieno della crisi petrolifera del 1975 da un’idea di Giscard d’Estaing per discutere in modo “franco e informale”, si prendono però a maggioranza e l’opposizione di alcuni paesi membri è stata inflessibile, in particolare Canada, Regno Unito e Germania. Angela Merkel ha più volte sottolineato che il ritorno al G8 è vincolato al rispetto da parte della Russia degli accordi di Minsk e sino a che la situazione in Ucraina non verrà risolta Mosca dovrà essere tenuta ai margini. Una questione di “coerenza e credibilità”.