Onore ai giornalisti inviati al seguito della guerra in Ucraina

C’è una professione, la nostra, che spesso è aspramente criticata per mille motivi. Una categoria che, preposta alla comunicazione, viene messa alla berlina quando trasmette disinformazione, piuttosto che quella attendibile informazione atta a dare notizie fondate e rivestite della massima accuratezza prima di essere pubblicate. Tuttavia, non per spirito di appartenenza alla categoria ma più semplicemente per realtà dei fatti, devo dire che generalizzare negativamente su tutta una categoria non è mai una bella cosa; anche perché il giornalismo non è sempre fatto di notizie date da opinionisti seduti nei più svariati salotti televisivi. C’è chi lavora in redazione, chi da casa in smart working e chi è inviato nelle più lontani parti del mondo a rischiare talora la vita. Come in questo tempo di guerra in Ucraina in cui alcuni inviati speciali hanno già perso la vita. Gli ultimi in ordine di tempo sono la giornalista ucraina Alexandra Kuvshinova morta al seguito di un attacco russo nel nord ovest di Kiev in cui è stato ucciso anche Pierre Zakrewski, il video reporter che si trovava in auto insieme al giornalista Benjamin Hall che è rimasto gravemente ferito. Storie di guerre, storie di professioni che danno il senso del sacro fuoco capace di ardere anche se sai che puoi pagarlo a caro prezzo, quello della vita perduta. Rischi senza limite per chi, con microfono in mano, penna, registratori e telecamera, si avventura in un contesto assolutamente pericoloso per raccontare, vivere e far vivere emozioni che vanno oltre ogni limite. E’ la narrazione di momenti, di lunghe giornate passate tra bombe, mitragliatrici e quell’odio che mette tutti gli uni contro gli altri. E il giornalista deve essere sempre lì, pronto a porre lo sguardo e riportare ciò che è successo, ciò che ha visto anche attraverso gli sguardi della morte. Quella stessa morte che poi si accorge pure di te e ti coinvolge facendoti perdere la vita sotto i colpi degli aguzzini che tutto radono al suolo senza guardare chi sei, se hai scritto Press o no poco importa, perché il selvaggio sentimento di “morte tua, vita mia” ha la priorità su ogni altra cosa. E’ la guerra che non si fa scrupoli, che non guarda in faccia nessuno, che non sa nemmeno chi sei, cosa fai, da dove vieni e se solo ti avessero dato tempo di spiegare un attimo, avresti detto che eri lì per lavorare, per raccontare dell’ucciso e dell’uccisore. E’ il rischio dell’inviato che quando accade di raccontare la guerra sul campo di battaglia, sa quando parte e non sa quando ritorna. Giornalisti con famiglie che sentono di fare il proprio dovere, proprio quando la redazione propone, ma non impone, di fare informazione nel cuore della guerra in atto. Per questo sento di ammirare e ringraziare questi indefessi lavoratori, colleghi dell’informazione capaci di dare un esempio di coraggio e abnegazione. E se è vero che certe critiche alla nostra categoria sono talvolta pesanti ma anche giuste, è altresì vero che non è sempre facile essere perfetti, soprattutto in certe circostanze. E’ il giornalismo, è l’informazione, è la comunicazione, è la narrazione di ciò che accade attorno a noi, anche quando si tratta di raccontare la vita e la morte a tue spese.

Salvino Cavallaro

 

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