La prematura uscita dalla Coppa Italia contro il Frosinone e il malcontento che serpeggia non tanto subdolo tra la Curva Maratona e la società, ormai da diverso tempo (tanti anni, diremmo), sta portando a un’insanabile punto di rottura anche con la squadra e l’allenatore. Il fatto che Cairo non voglia vendere la società granata o che neanche in lontananza non si veda alcuno a interessarsi e investire per il Toro, non giustifica che non si possa esternare senza eccessi di maleducazione la delusione che ferisce i sentimenti dei tifosi granata. Un rapporto difficile che coloro i quali non vivono lo spirito granata forse non possono capire. La grande tradizione, la storia, la poesia, la vasta letteratura granata, fungono da sempre come qualcosa da rispettare e non da ridicolizzare nell’essere un’entita’ distaccata da cotanto storico passato. Sì, perché il Toro è una squadra di calcio di Serie A e non la retorica di ciò che è stato e non sarà mai più. Essere dimenticati dall’Europa da tanti anni, non vincere uno scudetto da più di mezzo secolo, né Coppa Italia e né Coppa del “nonno”, ci si chiede qual è il progetto (ammesso che esista un progetto) di una società professionista come il Torino F.C. che da anni si barcamena in un campionato di Serie A senza nessun risultato, nel tentativo di emergere dalla mediocrità più inutile. È vero, in tutto ciò c’è il pesante retaggio di un fallimento societario da addebitare a uomini e situazione che hanno dimostrato incapacità nella presunzione di ergersi sempre a salvatori della patria. Tuttavia, da questa macchia che ha offeso l’indelebile passato della storia del Grande Torino sembra non essersi mai più ripresi, quasi fosse ormai stabilito da chissà chi, che il Toro debba rappresentare un’entità astratta nella competizione del calcio che conta. Non sono le chiacchiere a calmare le continue delusioni e non è neanche l’attrito che si crea tra la Curva Maratona “Solo per la maglia”, la società e l’allenatore di turno a risolvere la situazione. Crediamo davvero con obiettività di pensiero, che in questa società ci sia assoluto bisogno di resettare ogni cosa e partire da una società formata magari da una cordata estera che abbia intenzione di investire puntando su personaggi di calcio in grado di conoscere a fondo una materia in cui nulla si improvvisa e tutto si costruisce con pazienza e voglia di ricordarsi che il Toro non è una squadra qualsiasi, così come i risultati negativi ci vogliono far credere ormai da troppi anni. E chissà se riusciremo mai a non scrivere più a caratteri cubitali: “Il Toro che vorrei”.
Salvino Cavallaro