Paul Pogba, fine di un campione sempre sotto i riflettori del pallone e della vita

Ma quanto è strana la vita e quante storie si intrecciano tra gli uomini che nel quotidiano narrano fatti e situazioni così diversi tra loro. Ho sempre pensato che in ogni uomo, in ogni persona, in ogni anima, c’è sempre qualcosa da imparare, da riflettere nel mettersi nei panni di chi improvvisamente si trova solo perché ha sbagliato, o più semplicemente è caduto nel vortice della disperazione personale. Chi sta fuori condanna, ma chi pensa che ad ogni sbaglio umano ci sia sempre una motivata causa che serpeggia dentro di noi, allora non può far altro che fermarsi e capire. Tutto ha una spiegazione, non c’è nulla che avvenga senza un retaggio di situazioni che giocano dentro di noi, nel nostro inconscio, e poi si manifestano chiari come chi sa dipingere l’anima. A seguito della condanna di quattro anni inflitta a Paul Pogba da parte del Tribunale Nazionale Antidoping, che ha pienamente accolto la richiesta della Procura per la positività al testosterone, ho pensato quanto sia sottile il filo del nostro percorso di vita, capace com’è di spezzarsi al minimo alito di vento. E allora penso quanto la fragilità sia spesso ignorata come qualcosa che rientri in un minimalismo conosciuto, ma troppe volte sottovalutato a discapito di forme più eclatanti di riflettori che sanno illuminare soltanto un’esteriorità spesso effimera. Già, proprio quella esteriorità in cui appare luccicante la ricchezza, la popolarità, le macchine, le donne, la vita che ti fa sentire padrone del mondo, mentre vicino a te c’è la sofferenza, il privato, l’interiorità, la fragilità che fa crollare ogni barriera di resistenza alla forza esteriore. Così, per Paul Pogba che tra due settimane compirà 31 anni, è stato un colpo al cuore che ha l’impressione di volere essere letale per la sua carriera. Il giornalista francese Julien Laurens così scriveva di Pogba:“Ricordo di averlo visto giocare quando aveva 15 anni, ed era la cosa migliore che io abbia mai visto su un campo di calcio. Era così bravo, un talento generazionale, un genio assoluto. Ha fatto una bella carriera, ma si pensava che per lui non ci fossero limiti, che avrebbe vinto Palloni d’Oro, che sarebbe diventato il migliore giocatore del mondo. E poi? Cosa è successo all’interno del suo cervello, del suo cuore, della sua anima? Nessuno può saperlo, forse neanche lui stesso può percepire la causa di questa sorta di abbandono che ad un certo punto della sua vita ha evidenziato limiti e fragilità. Dall’esterno è facile ricamare sugli altri oscuri vizi dati dalla troppa ricchezza, da quella popolarità che ti fa perdere la testa, te la fa girare come fosse l’elica di un aeroplano e poi per le troppe vertigini ti fa cadere a terra, incapace di rialzarti da solo. E così la gente punta il dito come se quell’aver sbagliato (se ha sbagliato veramente) fosse il marchio di una macchia indelebile e imperdonabile. Ma chi siamo noi per assurgerci a giudici e imputare colpevolezze umane? Con quale diritto ci sentiamo al di sopra di ogni sospetto, non immaginando mai una nostra eventuale caduta durante il percorso della nostra vita? Errare humanum est – è una locuzione da non dimenticare, non solo quando capita a noi. Commettere errori è umano!

Salvino Cavallaro          

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